Ode al capoverso

Pagina piena, fitta di parole, o pagina con frasi che galleggiano nel bianco?

Saper gestire con maestria il capoverso, cioè la parte di testo compresa tra un “a capo” e quello successivo, non è così scontato come potrebbe sembrare.

Innanzitutto, occorre partire dalla tipologia di narrazione che l’autore sta affrontando a un certo punto della storia. In una fase dove abbondano le descrizioni, i dettagli, la pagina è piuttosto densa. Pochi spazi bianchi, periodi generalmente abbastanza lunghi, nessun dialogo: il ritmo è lento e il lettore potrebbe provare quasi un senso di stordimento o, peggio, di asfissia.

In altre circostanze, invece, molti “a capo” significano azione, dialogo, ritmo via via più veloce e, di conseguenza, impatto visivo più arioso e meno pesante.

Quindi, capoversi lunghi nel primo caso, più brevi nel secondo.

La regola generale dell’andare a capo prevede che ogni singola azione, che abbia continuità nel tempo, debba essere contenuta all’interno di un singolo capoverso. Spezzare un’azione in più parti rischia di sconcertare il lettore, rendendo difficile il susseguirsi dei rapporti tra i vari personaggi.

Inoltre, sta alla bravura dell’autore evidenziare singole frasi o, addirittura, singole parole, isolandole in un’unica riga. Un termine circondato da un ampio spazio bianco spicca molto più che una parola annegata in mezzo a mille altre. Rimane, in sostanza, scolpita nella pietra, lapidaria, e assume quindi una valenza particolare.

Anche nel gioco tra bianco e nero, tra vuoto e pieno, tra fitto e rado, si può valutare la bravura di uno scrittore.

 


3 commenti:

  1. Buongiorno Roberto e buongiorno a tutti . Che dire , tolto il fatto che non ho mai scritto un libro ritengo che non sia cosa semplice generare emozioni soprattutto trasportandole in un certo vicolo piuttosto che dare spazio al libero arbitrio suscitando emozioni varie . A mio avviso è molto interessante la dualità degli spazi vuoti o al contrario della massima ricchezza di parole in modo fitto . Sentendo parlare lo scrittore , avendolo conosciuto personalmente l'avrei associato ad una modalità di parole fluide , ma velocissime e senza tregua ..una modalità piena di energia , brillante e positiva con un ironia unica ..tutta sua a volte un po' english . Tuttavia nella scrittura avverto molte pause che adoro e fanno riflettere , cosa importantissima in un mondo dove tutto è frenetico ed il lavoro informatico ti porta a ciò . Il vuoto è più significativo dello scritto a volte xchè ti fornisce la possibilità di dare più spiegazioni alla stessa cosa , più punti di vista .La pausa è risaputo essere di rilievo anche per chi fa teatro , in pittura gli spazi vuoti generano più emozioni della confusione ; vedi la metafisica . Roberto i tuoi libri incuriosiscono sempre di più, perchè oltre ai contenuti impeccabili c'è quel tuo tocco di noir che crea una sorta di mistero . Non a caso negli incontri di formazione eri sempre attorniato da tante persone ed io non lo dimenticherò mai : Grazie per il tempo dedicatomi alla conoscenza di tanti enigmi . Barbara da Pesaro .

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    1. Sono io che ti ringrazio per le riflessioni che sai offrire, come questa. Il gioco tra vuoto e pieno, tra bianco e nero non è solo estetico, bensì rappresenta anche la nostra vita quotidiana, presi sempre più da mille cose e spesso incapaci di fermarsi a riflettere. Infatti ciò viene confermato in più espressioni artistiche, come la musica o la pittura.
      Mi auguro di sentirti spesso su queste pagine, grazie

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  2. Potremmo citare Aristotele : per lui uno spazio privo di oggetti non corrisponde al niente.. sarebbe da approfondire lo spazio temporale di vuoto nella filosofia . Il vuoto come una sua essenza di spazio e non di assenza totale .

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