UNA VICENDA MORTALE CHE NASCE DALLE MONTAGNE BERGAMASCHE 

                                                          E ARRIVA A PRAGA


Una vicenda tutta bergamasca, quella del giallo LE GOCCE SUL VETRO di Wainer Preda (Mursia, pagg. 332, € 17,00) che letteralmente si dipana tra le montagne e le vallate della provincia orobica, ma che per essere risolta necessita di uno sguardo che arrivi assai lontano, addirittura fino a Praga, centro dell’Europa.

Il protagonista abita a Bergamo città, ed è l’immaginario giornalista Walter Torriani (che forse non a caso, verrebbe da pensare, svolge la stessa professione dell’autore del romanzo). Uno da vecchia scuola, che consuma le scarpe sulla strada e considera il suo lavoro una missione. Accade, all’inizio della storia, che venga ritrovato il corpo di un noto speleologo, Andrea Tommasi, ammazzato in prossimità del lago di Endine. La sua donna, Annalisa Rodari, docente dell’Università di Bergamo, guarda caso tempo addietro era stata la fidanzata proprio di Torriani. Il cronista comincia quindi a indagare, in parte spinto dall’innato istinto di seguire ogni traccia di un fatto di cronaca, ma soprattutto perché ritiene impossibile che Annalisa possa essere colpevole.

Da qui, la narrazione prosegue intricandosi sempre di più, tanto che in ogni capitolo accade un colpo di scena. Uno dopo l’altro, verranno rinvenuti altri cadaveri, mentre Torriani farà la conoscenza di una serie di personaggi assai anziani, ognuno dei quali ha avuto ruoli importanti addirittura nel corso della Seconda guerra mondiale.

Ma non basta: le forze dell’ordine e la magistratura (ambienti all’interno dei quali Torriani sa bene come muoversi) naturalmente svolgono le indagini più accurate, che però per diverso tempo non sembreranno portare a grandi risultati.

Finché… Il doveroso rispetto nei confronti dei lettori impone di non svelare altro, se non che la soluzione del caso sarà davvero ben congegnata; e per Torriani, che dovrà recarsi fino a Praga per scavare in storie avvenute settantacinque anni prima, arriverà la sospirata verità.

Colpiscono, di questa opera, alcune caratteristiche: innanzitutto, la profonda conoscenza della terra bergamasca. Che l’azione si svolga nelle eleganti e antiche vie di Città Alta, nel centro pulsante del capoluogo o tra i paesi della provincia, nulla è lasciato al caso, e ogni ambientazione viene illustrata in molteplici dettagli che faranno la gioia degli appassionati.

Poi, la ricchezza degli spunti storici. Le conoscenze dirette di quanto accaduto durante il secondo conflitto mondiale vanno ormai spegnendosi, ed è quindi un bene richiamarle e custodirne le tracce in un’Italia “di contemporanei, senza antenati né posteri, perciò senza memoria” così l’ha definita a suo tempo Ugo Ojetti.  

E ancora, l’accuratezza della scrittura, frutto evidente dell’esercizio del proprio mestiere ma anche della passione per l’uso delle parole.

E infine, l’intreccio sempre più pressante degli avvenimenti, che catturano e coinvolgono nella loro drammaticità, senza mai indulgere a improbabili eccessi splatter. Sangue e violenza ve ne sono, come è normale in ogni poliziesco, ma sempre nei limiti del realistico: quanto c’è, è sufficiente.

Un libro tutto da leggere, quindi. Immaginando alla fine, se l’autore lo riterrà opportuno, che Walter Torriani (o Wainer Preda?) ci regalino nuove indagini.

                                          NIENTE MILANO DA BERE, PER STAVOLTA


In poco più di una decina d’anni Romano De Marco, allievo del maestro del noir Raul Montanari, si è ritagliato uno spazio molto importante tra i giallisti italiani. Autore di una dozzina di romanzi editi, 25 racconti, 6 opere in e-book e una graphic novel, più volte vincitore dei maggiori premi per libri gialli (l’ultimo, tra l’altro, il Giallo Ceresio del 2020 nel quale è arrivata in finale anche IL FETORE DEI SOLDI, opera ben nota ai miei lettori) questo dirigente bancario di origine abruzzese ha scalato rapidamente le vette delle classifiche di vendita.

Credo non vi sia bisogno di specificare dove sia ambientato NERO A MILANO (Piemme, 338 pagg., euro 17,50, il giallo di cui parliamo oggi, anche se va ricordato che si tratta del terzo di una miniserie che vede protagonista una coppia composta da un commissario di polizia, Luca Betti, e da Marco Tanzi, investigatore privato già appartenente alle forze dell’ordine.

Naturalmente, come ogni buon lettore di gialli può immaginare, i casi nei quali i due inizialmente si imbattono sono inevitabilmente destinati a incrociarsi: da un lato il brutale omicidio di due genitori arsi vivi nella propria abitazione, la cui bambina è morta suicida poco tempo prima; dall’altro, la ricerca di un ragazzo problematico, allontanatosi da casa per andare a vivere tra i clochard.

La soluzione delle due vicende sarà lunga, complessa e soprattutto dolorosa per Betti e Tanzi, che saranno coinvolti non solo sul piano professionale, come è normale che sia, ma perfino su quello più strettamente personale, rischiando così di venir colpiti addirittura negli affetti più cari.

Ci troviamo, insomma, nel classico poliziesco con sfumature thriller e noir. Purtuttavia, ridurre questo romanzo a un normale giallo metropolitano significherebbe fare un grosso torto all’autore e alla sua opera. In realtà, la trama è assai più complessa di quanto sia stato sommariamente esposto (in parte per gli ovvii motivi di riservatezza). All’interno della vicenda si sviluppano diverse altre tematiche che coinvolgono aspetti sociali quali ad esempio la pedofilia (con accenni tutt’altro che velati al caso della piccola Fortuna Loffredo), l’accettazione della diversità e la relazione con la malattia sia corporea che psicologica. Argomenti, questi, che non sono stati inseriti al puro scopo di nobilitare un genere – quello poliziesco – considerato spesso a torto come ‘letteratura di consumo’, bensì che entrano con tutta la loro forza espressiva tra le maglie della narrazione, conferendole ulteriore spessore e significato.

Il lettore più smaliziato, inoltre, in questo libro sicuramente riconoscerà in controluce alcuni noti fatti di cronaca italiana del recente passato, accennati però con la doverosa delicatezza che si conviene alla loro drammaticità e quindi senza indulgere all’ormai asfissiante modello dei vari programmi Tv completi di esperti e ricostruzioni al limite del vouyearismo collettivo.

Anche la presenza della realtà milanese vista in tutte le sue sfaccettature, dagli aperitivi nei lussuosi locali dei centri direzionali agli interrogatori nel bar di periferia o ai negozi cinesi, aggiunge grande veridicità all’evolversi del racconto, mostrando una non comune conoscenza, da parte dell’autore, del capoluogo lombardo e delle sue molteplici complessità.

Tra le righe, non poteva mancare la dedica dell’opera ad Andrea G. Pinketts, scrittore milanese assai stimato da De Marco e capostipite del genere giallo-noir meneghino, recentemente scomparso.

Il finale, come sempre accade nei polizieschi di classe, presenta più di una sorpresa. Ma qui il silenzio è d’obbligo, anche se la sensazione è che la coppia Betti – Tanzi sia ben lontana dall’aver esaurito le sue potenzialità.

Per gli amanti del genere, insomma, un libro da non perdere e da assaporare con gusto una pagina dopo l'altra.

 



 

Tre anni di dolore, di lavoro, ma anche di orgoglio e di desiderio di futuro: questi sono i sentimenti che hanno segnato il tempo breve e lungo, denso e veloce, che ci separa dal 14 agosto 2018, giorno della tragedia del Morandi. Sono stati raccontati in un libro, "Una nave ormeggiata in Valpolcevera", di Alessandra Lancellotti e Stefano Termanini, fotografie di Roberto Orlando (Stefano Termanini Editore. Nell’opera si trovano la storia di questi tre anni, ripercorsa per intero, e poi i volti e le testimonianze dei protagonisti. Il dolore, collettivo, espresso in piazza. E poi il lavoro, fatto a testa bassa, indifferente a ogni ostacolo, pronto a superarli tutti. Ora, da un anno, la ferita della Valpolcevera è suturata. C'è il nuovo ponte Genova San Giorgio, bello, lucido come un "bianco vascello", a riunire i due lembi della valle. Resta, tuttavia, il dolore. Resta, per tutti, il desiderio, anzi la necessità, della giustizia. Per la città, che nelle pagine di questa storia si è riscoperta, come non accadeva ormai da molto tempo, arto vivo del Paese, questa storia di pianto e di coraggio insegna che c'è un nuovo futuro possibile. È da conquistare, ma c'è. Si innesta su valori semplici e preziosi che, come l'impegno quotidiano, la coesione, l'onestà, lungo questi tre anni si sono via via riscoperti. C'è ed è migliore di quanto mai si sarebbe creduto.

https://bit.ly/UnaNaveOrmeggiataInVALPOLCEVERA

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