Uno tra gli elementi di maggiore importanza nella struttura narrativa di un romanzo – in particolare per alcuni generi come thriller, gialli, fantascienza e altri ancora – è la capacità di mantenere la giusta tensione durante tutto l’arco della trama.

I lettori, pagina dopo pagina, non devono mai avvertire una sorta di allentamento nella vicenda, tutt’altro: il susseguirsi dei conflitti tra i vari personaggi, come i divari esistenti tra gli stessi personaggi e le loro aspettative, devono continuamente alimentare la curiosità.

Il meccanismo della tensione è piuttosto semplice. Dapprima l’autore conduce il proprio personaggio all’interno di una situazione, poi suscita l’occasione per porre una o più domande: vivrà? Morirà? Raggiungerà il proprio obbiettivo o verrà sconfitto? S’innamorerà?

Per fare questo, in apparenza un’operazione semplice, occorre però seguire alcune accortezze.

Innanzitutto, si devono tratteggiare con sufficiente precisione i personaggi prima di creare i relativi momenti di tensione. Finché il lettore non resterà ammaliato dal fascino di un personaggio, difficilmente potrà appassionarsi ai suoi conflitti.

Poi, la tensione deve incidere in modo sensibile nell’equilibrio del personaggio. Un impatto emotivo di poco conto, infatti, lascerebbe indifferente anche il lettore.

Infine, occorre creare momenti di tensione principali, quelli che dovranno essere risolti solo al termine del libro, alternandoli con altri di minore importanza da disseminare qua e là per tenere sempre alta l’attenzione nelle altre vicende che compongono la trama.

Come sempre, nei romanzi si riflette la vita di tutti i giorni. Saper presentare con bravura le vicende umane, raccontandole in un libro, significa rappresentare in modo affascinante i sentimenti che tutti i giorni agitano la nostra stessa esistenza.


Un buon romanzo noir può essere locale e contemporaneamente globale? Esiste, cioè, la possibilità che un autore riesca a coinvolgere lettori anche molto lontani per cultura e tradizioni?

La risposta è sì. Vi sono scrittori, studiati e apprezzati anche a distanza di molti anni, che hanno emozionato persone in tutto il mondo.

Qual è, quindi, il loro segreto? Perché riescono a conquistare una sorta di immortalità? Le risposte possono essere molte.

Si diceva, in un commento della scorsa settimana, che la letteratura noir è lo specchio delle più cupe vicende umane. Sparizioni, tradimenti, bugie e sotterfugi sono la cifra caratteristica di ogni trama noir che si rispetti. I protagonisti spesso nascondono dietro una maschera di perbenismo le vicende più segrete della propria vita passata, manipolando le persone nel tentativo di ottenere la fiducia altrui o di rincorrere i propri interessi. E sono, queste, caratteristiche universali comuni a ogni popolo presente sulla Terra.

I narratori in grado di scandagliare l’animo umano e le sue eterne pulsioni attraverso il tempo - odio, amore, passioni, speranze, tutto ciò che appartiene al vivere comune di oggi così come all’inizio del mondo - si trovano davanti praterie amplissime. Ambientare una storia in una metropoli del mondo occidentale o in una sperduta cittadina posta ai margini della Terra, a questo punto non rappresenta un problema. E fino a qui s’è parlato di global.

Per divenire più credibile possibile, però, la realtà del narrato non può essere sospesa in uno scenario indeterminato. Ecco allora che scorci, inquadrature, panorami, financo sapori e suoni tratteggiati all’interno delle pagine caratterizzano con grande precisione il racconto, collocandolo in una terra e in uno spazio definiti. L’uso del dialetto, la rievocazione di tradizioni, vestiti, cibi, possono essere paragonate al sapiente lavorio della lima dell’artigiano, che cesella ogni singolo pezzo evidenziando anche il più minuto particolare. E qui, irrompe sulla scena il local.  

In fondo, sono convinto che uno scrittore sia davvero un ‘artigiano della parola’.


Il noir, il genere letterario a cui maggiormente mi ispiro per i miei romanzi, non pullula di eroi.

I protagonisti dei libri noir di solito sono persone normali: impiegati e casalinghe, ragazze provenienti da famiglie bene, qualche pensionato. Intorno a loro però si muove un sottobosco di personaggi ben diversi: truffatori, persone incazzate o piegate dalle vicende della vita, ma anche insospettabili manager e dark ladies.   

A volte, le trame noir possono apparire banali. Capita magari che qualcuno sparisca, o venga ucciso in circostanze strane, o poco altro di più. Nei noir, non imperversano killer supertecnologici armati fino ai denti. Tra le pagine dei noir non spadroneggia l’interminabile alternarsi di ispettori, capitani, commissari e marescialli, figure che in tutta onestà oggi forse iniziano a stancare.  

Durante la lettura di un noir, non ci s’imbatte in inseguimenti automobilistici mozzafiato o sparatorie interminabili, né si trovano scene truculente o estenuanti lungaggini scientifico-legali.

Un romanzo noir, come sostiene Maurizio De Giovanni, è davvero uno spaccato della vita reale di tutti i giorni, narrato con la giusta misura e capacità d’introspezione. Un noir è la fotografia impietosa di tutto il peggio che alberga nell’animo umano: passioni, amori, odii, invidie, ipocrisie e meschinità.

Leggere un noir è come aprire lentamente una porta, facendo filtrare una lama di luce in una stanza buia, e scoprire le vicende di tante persone.

E a pensarci bene, la gente che incontriamo in un libro noir ci assomiglia dannatamente in tutto.

 Scrivere: descrivere o evocare?


Il quadro mostrato qui sopra, del maestro sivigliano Diego Velázquez, rappresenta due figure, in spagnolo enano e perro ovvero un nano con un cane.

Qual è il titolo di questa famosa opera dipinta intorno alla metà del Seicento? È “Enano con un perro”. Grazie tante, dirà qualcuno, ci ero arrivato da solo. La questione, in realtà, non consiste in un banale gioco di parole, ma è bensì assai più complessa in quanto affronta l’essenza stessa dell’arte di scrivere.

Scrivere in senso letterario non significa semplicemente ‘descrivere’. Raccontare le vicende degli uomini – gli amori, le guerre, le relazioni, le passioni, i conflitti – non vuol dire inanellare una sequenza di parole che si limita a esporre in modo cronologico quanto accade durante lo svolgersi degli eventi.

Scrivere in senso letterario significa ‘evocare’, cioè suscitare emozioni. I fatti - ciò che capita ai personaggi - vanno presentati non in modo diretto ma attraverso immagini e sensazioni.

Un esempio, ancorché breve, può aiutare a comprendere meglio.

“Roberto quel pomeriggio doveva vedersi con Emanuele, si erano dati appuntamento per le cinque nel bar centrale della città. Roberto camminava veloce perché era in ritardo. Quando finalmente giunse nel locale si accorse che era molto affollato, e faticò a trovare l’amico seduto a un tavolino in fondo.” (modalità descrittiva)

“Un’occhiata veloce all’orologio: le cinque e dieci. Roberto allungò il passo, sapeva che Emanuele era puntuale agli appuntamenti e gradiva che lo fossero anche gli altri. Ecco il bar, finalmente, quello elegante in centro città. Spinse la porta, entrò trafelato, il frastuono delle voci lo colpì in modo fastidioso. Si sollevò sulla punta dei piedi per guardare oltre le teste finché scorse l’amico nel posto più distante, l’ultimo tavolino in fondo.” (modalità evocativa)

L’immedesimazione nel personaggio (l’ansia per il ritardo, il disappunto per l’amico seminascosto), l’uso dei sensi (il vocio fastidioso), le movenze corporee (la corsa, l’apertura della porta, l’alzarsi in punta di piedi, lo scrutare): tutto ciò ‘evoca’, non ‘descrive’, e rappresenta la base indispensabile dalla quale iniziare, ovvero l’utilizzo della scrittura ‘descrittiva’ e non di quella ‘evocativa’.


                     LA VERITA' HA IL SAPORE DEL MARE Ho letto in anteprima, e l’ho apprezzato, il romanzo La verità ha il sapore del ma...