Quattro cadaveri, quattro morti che scuotono la tranquilla placidità dell’autunno reggiano, e le relative indagini affidate ad un istrionico Commissario di Polizia: Roberto Poli. Sono questi gli elementi fondanti de “La sciarpa” (edito dalla casa editrice romana “Europa Edizioni”), secondo romanzo giallo del 37enne povigliese Tommaso Landini.
Incontriamo l'autore, un giovane e promettente giallista emiliano, per capire come è nato il suo libro.
“La storia narrata” ci conferma Landini “si svolge interamente a Reggio Emilia e provincia, in un lasso di tempo che va dalla fine di ottobre alla metà di novembre 2017. Quattro settimane in cui, a intervalli regolari, ha colpito quattro volte quello che ormai i media locali hanno definito come “Killer della sciarpa”: l’arma del delitto, infatti, è in tutti i casi una sciarpa biancorossa, rinvenuta a lato dei cadaveri, insieme alla curiosa scritta “Umberto Eco aveva ragione”.
Hai parlato di una sciarpa biancorossa. Come mai proprio quei colori?
“Sono i colori sociali della Pallacanestro Reggiana, la mia squadra di basket del cuore. La passione per la pallacanestro, ed in particolare per la squadra di Reggio Emilia, sembra essere l’unico punto di contatto tra le vittime. Più in generale, la passione per il basket sembra essere uno degli elementi fondanti de “La sciarpa”, tanto che l’intero romanzo è scandito e suddiviso secondo i tempi di una partita di pallacanestro: all’inizio di ogni sezione si può inoltre trovare una citazione a carattere cestistico, non fine a se stessa ma funzionale a comprendere il significato dei capitoli successivi.
Com’è nata l’idea di questo romanzo?
 “Nell’autunno del 2017” ci spiega Landini “la Pallacanestro Reggiana viveva una forte crisi di gioco e risultati. Come appassionato e giornalista, seguivo sulle varie pagine Facebook i dibattiti tra gli appassionati, che non di rado assumevano toni aggressivi e violenti. Da questa situazione ho tratto spunto per ideare e scrivere la mia storia.”
Una storia in cui i social media assumono grande importanza. Qual è la tua visione dei media? Perché hai scelto di farne un ingrediente fondamentale del romanzo?
“Innanzitutto, perché ne sono un appassionato fruitore, in particolare di Facebook e Instagram. In secondo luogo, sono convinto che, per quanta fantasia ci sia in un romanzo, esso debba inevitabilmente trarre spunto dalla realtà in cui viviamo: e i social sono ormai una parte essenziale del nostro mondo, soprattutto nel costruire la comunicazione e le dinamiche relazionali. Io credo che questi mezzi non vadano demonizzati, in quanto hanno indubbie potenzialità e qualità; ritengo però si debba fare un lungo e importante lavoro di riflessione e sensibilizzazione sul loro corretto e rispettoso utilizzo. Troppo spesso le discussioni social trascendono, nei contenuti e nei modi, e questo non va bene”
Il personaggio fulcro di tutta la narrazione è il Commissario Roberto Poli. Come nasce la sua figura? A quali modelli letterari o reali hai attinto?
“Anzitutto devo dire che, come penso sia normale, nel Commissario ci sono alcuni tratti del suo autore, anche se Roberto Poli non è al cento per cento Tommaso Landini, e viceversa. Dal punto di vista letterario, ho cercato di fare un lavoro di differenziazione dagli stereotipi: spesso, nella letteratura gialla, il protagonista, sembra quasi un eroe infallibile, un deus ex machina, che risolve i suoi casi dal nulla, come per miracolo. Ho voluto invece che Roberto Poli si caratterizzasse come un uomo “normale”, una sorta di “uno di noi”, con i suoi pregi, i suoi difetti, le sue abitudini, le sue passioni e le sue stranezze. Se devo citarti dei riferimenti letterari, posso dirti che nel Commissario Poli c’è qualcosa di Salvo Montalbano, e dell’ispettore Soneri, il personaggio principale di Valerio Varesi”.
“La sciarpa” può essere acquistato: in libreria; on line, sul sito della casa editrice Europa Edizioni, oppure su altri siti come Amazon o Feltrinelli.



Ormai Vigata (in provincia di Montelusa…), l’immaginaria cittadina creata da Andrea Camilleri per ambientarvi le peripezie del commissario Salvo Montalbano, non ha più segreti per nessuno. Questo certo grazie ai ripetuti passaggi televisivi della fiction derivata dai romanzi, molto apprezzata anche all’estero; ma benché irreale, Vigata è del tutto riconoscibile in quanto rappresenta l’essenza stessa della sicilianità. Il mare, le architetture barocche, le campagne aride e assolate, le persiane socchiuse delle case durante le ore più calde, la parlata della gente del posto, tutto ci richiama alla Sicilia più autentica.
Camilleri, in realtà, non ha creato nulla: ha miscelato con maestria gli echi e le sensazioni caratteristiche della propria vita, offrendole al lettore affinché potesse gustarne ogni particolare.
Opera di assoluto ingegno alla quale io tento di avvicinarmi, ahimè vanamente, nei miei scritti. È un grande stimolo per seguitare nel percorso di continuo affinamento stilistico che ho intrapreso negli ultimi anni.



"La magia della narrativa è proprio questa: puoi sapere bene da dove cominci, quali sono le poste in gioco, definire ambientazione e caratteristiche di chi ci si muove dentro, ma mai sarai sicuro di dove e come andrà a finire la tua storia.
Evito, per ovvi motivi, di paragonarmi a un maestro come De Giovanni. Mi è però capitato spesso, durante la stesura di un romanzo, di vedere qualche personaggio "uscire dalle pagine" e iniziare a vivere una propria esistenza. Un paio li ho quasi immaginati a girar per casa, quasi fossero parte di me stesso...
Credo sia un’esperienza comune per chi scrive. Maurizio De Giovanni, in una intervista al Corriere della Sera di qualche mese fa, la descrive con impareggiabile maestria: I Bastardi di Pizzofalcone, per esempio, hanno decisamente preso il comando. Costituiscono un sistema gravitazionale complesso, così articolato che è quasi impossibile, anche per chi ne deve raccontare le traiettorie, stabilirne le singole orbite. Meglio lasciarli andare, mettendosi a osservare che cosa decideranno di dire o fare quando si troveranno esposti alle altissime temperature di un delitto che, inevitabilmente, si riverbererà sulle vite personali, sui rapporti e sulle relazioni, sugli incontri e sui cambiamenti.”



SENZA CAPO… NÉ CODA?

“Quale consiglio darebbe agli aspiranti scrittori?”
“Cominciate a scrivere solo quando sapete già come andrà a finire. Così potrete concedervi qualsiasi excursus, rimanendo padroni della storia.” (Gianrico Carofiglio, intervista al Corriere della Sera del 24 novembre 2019)
Questa è una delle due domande che mi vengono rivolte più spesso durante le presentazioni dei miei romanzi (l’altra, se il mio nome sia autentico oppure uno pseudonimo, ma questa è un’altra faccenda).
Sembra paradossale: un romanzo – soprattutto se poliziesco - va pigliato, o meglio, iniziato, proprio dalla coda, non dall’inizio. Così, una volta definito ‘chi fa cosa’ (chi muore, chi spara, chi fugge, chi indaga, chi ama, chi soffre…) si pensa all’incipit, poi a delineare i personaggi, a scandire i colpi di scena, infine ai dialoghi, alle ambientazioni…
La narrazione scorrerà veloce, perché tutto sarà coerente con la scena finale senza mai perdere il filo.
Tutto chiaro, quindi? Mica tanto. Altre autorevoli voci di scrittori sostengono esattamente l’idea opposta, con motivazioni tuttavia valide.
Magari ne parliamo un’altra volta.




E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE

Mani che tamburellano sulla tastiera. Sguardo che fissa lo schermo vuoto.
Niente. Nemmeno una frase.
La sindrome da foglio bianco, detta anche blocco dello scrittore, esiste.
Io l’ho provata in ognuno dei libri che ho scritto, spesso più volte nello stesso libro.
Non c’è da vergognarsi. È naturale che accada, ne soffrono anche gli autori famosi. Quando succede, significa che il cervello sta mandando un avviso. Paradossalmente, se càpita è meglio.
Come superare l’improvvisa difficoltà?
Innanzitutto, il tempo dedicato alla scrittura dovrebbe essere più libero possibile da distrazioni. Niente telefono, tablet, giochini vari e soprattutto presenza sui social.
Così pure lo spazio che ci siamo scelti: raccolto, silenzioso, senza persone che vanno e vengono continuamente.
Inoltre, fondamentale è avere la mente sgombra da pensieri e impegni. Iniziare a scrivere qualcosa sapendo che tra un quarto d’ora, o mezz’ora, si deve uscire per un incontro o una commissione, procura un sottile stato d’ansia che nuoce alla concentrazione.
Ciò nonostante, può accadere che il foglio – o più spesso, lo schermo – continui a essere bianco – o vuoto.
Niente paura.
La soluzione immediata è quella di non perdersi d’animo e continuare comunque nella narrazione, pur sapendo che queste ultime parole verranno presto cancellate e sostituite. Intanto, non si è smarrito il ritmo della vicenda. Succede così anche in una corsa, o una maratona: se ci si ferma a rifiatare troppo a lungo, la ripartenza è durissima e si rischia di non arrivare al traguardo.  
Il dramma è però sempre in agguato: non si riesce davvero a proseguire. Si tratta di un segnale, un sintomo che qualcosa non va.
Siamo a un punto morto. C’è un problema: la trama non è stata studiata con cura; oppure, qualcosa stride: una circostanza, un personaggio, uno sviluppo della storia.
In questo caso, occorre essere onesti con sé stessi: seguitare a scrivere è un grave errore.
Meglio fermarsi e riesaminare l’intero plot, ovvero l’intreccio, e identificare cosa non stia funzionando.
È un grande atto di coraggio e umiltà; poi, superato lo scoglio, si ricomincia.
Perché tu vuoi proprio fare lo scrittore.

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