Come scrisse anche Anton Chekhov, ‘l’arte di scrivere è l’arte di tagliare’.
Curioso che io riporti queste frasi, visto che i miei ultimi due romanzi sono lunghi rispettivamente 570 e 480 pagine. E anche i primi due non erano propriamente brevi, circa 300 pagine ciascuno.
Certo la bontà di un’opera letteraria non si misura a peso: Giuseppe Ungaretti ha scritto poesie di due strofe che restano scolpite nell’eternità, assai più delle migliaia di righe di un qualsiasi romanzo.
Comunque, confesso che tagliare è dolorosissimo. La minuta successione di parole che a fatica sono state composte una dopo l’altra, scritte e riscritte, corrette e ricorrette, a un certo punto giacciono in mezzo alla pagina senza mostrare alcunché di pregevole sul piano letterario.
E allora il dito si appoggia sul tasto ‘canc’ e, dopo un ultimo sospiro, distrugge una giornata di lavoro.
Fa male. Molto, davvero. Ma occorre procedere con fermezza, senza ripensamenti: se non ‘acchiappa’, come si dice con un termine scherzoso, non va bene.
Si tratta di un grande esercizio di umiltà, che va praticato per tenere a bada il super-ego dello scrittore. Guai a chi cede alla superbia, allo sterile autocompiacimento, alla scrittura fine a sé stessa. Meglio arrivarci da soli, prima che te lo dicano i lettori. 

3 commenti:

  1. Ciao Roby, capisco molto bene.
    Io terrei una copia segreta delle pagine destinate al "canc"...
    Scrivere per noi stessi è bello.., se ci danno felicità .le nostre pagine scritte meritano di esistere, anche se non pubblicate.
    Poi il progetto libro ha il suo diritto di esistere, e sono d'accordo che bisogna portargli rispetto!
    Un abbraccio. Pat

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    1. Eccomi. io non scriverò mai un libro, spero, perché c'è più gente che scrive di quella che legge.... e non è una battuta.
      Ho sempre letto molto e ultimamente sono arrivata a circa 1 libro al giorno, ma, trovo, che aldilà di aver soddisfatto la mera passione per l'esercizio, non tutto quello che leggo forse ne valeva la pena. Mi rendo conto che il tempo che dedico alla lettura è tempo tolto alla noia, alla becera tv, e questo è ottimo. Ma è anche tempo tolto alle passeggiate fuori e agli affetti, qualche volta, e questo bene non va. La lettura e la scrittura sono anch'essi vizi, anche se vizi edificanti. Però trovo davvero il mercato dello scritto oberato anche da cose indicibili o noiose. Ci sono tantissimi scrittori che scrivono per puro narcisismo e senza offrire nemmeno un buono spettacolo. Ma chi sono io per giudicare cosa è buono oppure no? Anche perché è sempre meglio leggere libri vacui che non leggere.
      L'ignoranza è la cosa peggiore. Ora, in questo momento stavo chattando via Whatsapp con un carrozziere che mi ha chiesto perché gli ho scritto che è empatico... pensava che gli avessi detto qualcosa di brutto. e quindi gli ho dovuto spiegare le parole, simpatico, antipatico ed empatico. Povera gioia... Eppure, nonostante avesse una cultura delle parole così povera, lo ritengo molto empatico. E' un contadino di Almenno che fa il carrozziere ad Ubiale. Non conosce le parole, ma i sentimenti li percepisce con grande intuito. La sensibilità può essere acuita dalla cultura, ma occorre averla. E per concludere questo mio panegirico, per me che resto comunque affamata di parole, credo che il problema non stia nel'usarne poche o tante, ma usare le migliori. Anch'io amo Quasimodo ed Ungaretti, non mi piacciono le poesie lunghe, che mi sembrano un esercizio da vanitosi letterati, credo che quello che conta siano le emozioni, la profondità del sentire, la verità e l'essenza di ciò che viene narrato. E se uno scrive bene, gli si perdona anche il fatto di averci rubato tanto tempo...

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    2. e mi scuso per gli orrori di ortografia.. ma passare di continuo tra telefono e pc è alienate.
      Mi sa che ho troppi contatti a cui rispondere!

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