IL TEMPO DEGLI SBIRRI, ultima fatica del ‘poliziotto scrittore’ Maurizio Lorenzi, racconta la clamorosa evasione avvenuta nei primi anni Duemila a Bergamo, quando a sorpresa dal carcere di via Gleno si allontanano due detenuti. Scatta così la caccia, che coinvolge uomini specializzati pronti a inseguire e rintracciare i fuggitivi in una rincorsa che li porterà anche all’estero.
I nomi dei protagonisti del romanzo IL TEMPO DEGLI SBIRRI – gli evasi, i poliziotti che li inseguono, il direttore del carcere – per evidenti motivi sono immaginari; la trama – il plot, direbbero gli esperti – è invece autentica, stillata pagina dopo pagina in un crescendo di tensione sempre più incalzante. Questo apparente mistero è presto svelato: l’autore, Maurizio Lorenzi, è un vero poliziotto in forza alla Questura di Bergamo, che da alcuni anni si dedica alla scrittura e, in particolare, al genere definito ‘poliziesca’. Qui occorre subito una precisazione: i suoi libri non hanno nulla a che fare con le storie alla Totò e Fabrizi degli anni 50 e 60, e nemmeno con i ‘poliziotteschi’ dei tempi successivi, giocati tra violenza, rapine, sparatorie e inseguimenti in auto. Le atmosfere richiamate da Maurizio Lorenzi ricordano piuttosto le ambientazioni hard-boiled americane: lunghe nottate di attesa, pedinamenti, attenzione al minimo dettaglio, lavorio con gli informatori, e tutto quanto attiene al tradizionale armamentario di ogni valido investigatore.
Dialoghi serrati, ribaltamenti di fronte, scenari che s’intrecciano e si accavallano di continuo, seguire la narrazione appare quasi come la visione di un film. L’autore è stato assai valido anche nel delineare la psicologia dei personaggi dell’uno e dell’altro fronte, quasi si trovassero nel bel mezzo di una partita di scacchi: gli evasi che cercano di immaginare come si muoveranno i poliziotti, e gli agenti che provano a immedesimarsi nei fuggitivi. Un continuo gioco di mosse e contromosse che nel corso della narrazione vedono l’immancabile intervento di figure femminili che variano dalla bellona di turno, presenza indispensabile in ogni poliziesco che si rispetti, alla moglie insoddisfatta, ai corrotti, agli amici veri (che però potrebbero essere anche falsi) e a quelli falsi (che forse sono veri). Verità e menzogna si fondono, come fossero entrambe le due facce di una stessa moneta; accade nel romanzo, insomma, quello che accade nella vita, dove i confini non sono mai netti come si vorrebbe e il giudizio su cosa sia giusto e cosa invece sbagliato spesso presenta larghi margini di imprevedibilità.
Un intreccio complesso, quindi, che spazia dalla città di Bergamo, alla Sicilia dei mafiosi, fino a sbarcare – letteralmente – in Marocco, terra ospitale per i turisti ma certo non per i detenuti, triturati da un sistema carcerario massacrante e corrotto.
L’esito della caccia, ispirato ai fatti veri accaduti in quegli anni, è facilmente intuibile; ciò che invece il lettore non si aspetta è una sorta di coda finale a sorpresa, tratta dalle vicende successive all’evasione, che suggerisce alcune amare riflessioni in merito ai concetti di giustizia, di onestà, di attaccamento al dovere e alle istituzioni.
Ben scritto, ritmo incalzante e narrazione assolutamente credibile, il romanzo rappresenta l’ulteriore prova di bravura di un autore abituato a confrontarsi con temi impegnativi. Nelle sue opere precedenti, infatti, Maurizio Lorenzi ha fatto conoscere al pubblico diverse storie vere, dalle scorte di Falcone e Borsellino al rapimento del generale Dozier da parte delle Brigate Rosse, dal caso Unabomber alla banda della Uno bianca, e altre ancora. Per gli amanti del genere, libri da non perdere.
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